Si è aperto in questi giorni un contrasto rilevante fra Regione Piemonte e Comune di Torino per la nomina del nuovo direttore amministrativo del Museo del Cinema, che dovrà occupare il posto rimasto vacante dopo le dimissioni di Alberto Barbera.
Il Comitato di gestione, nella seduta di ieri, non ha potuto deliberare la nomina del nuovo direttore poichè è venuto a mancare il numero legale. “Non c’era sintonia sul nome rispetto alla rosa uscita dalla Praxi, la società a cui è stata affidata la selezione. Dopo che Paolo Verri, gradito alla Regione ma non al Comune, si era tolto di mezzo ritirando la sua disponibilità, era emersa la figura di Alessandro Bianchi, ex segretario della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ed ex segretario del Maxxi di Roma. Nome appoggiato dalla Regione e dall’assessore alla Cultura, Antonella Parigi, ma non dal Comune e dall’assessore Francesca Leon” (qui l’articolo integrale di Repubblica sulla vicenda).
Personalmente ritengo che quello che è successo ieri nella riunione del consiglio direttivo del Museo del Cinema sia molto preoccupante per le prospettive dell’ente e, in generale, per la collaborazione tra Comune di Torino e Regione Piemonte.
Su quello che è capitato, è necessario che la Commissione Cultura possa acquisire in fretta il mandato e le risultanze del lavoro della società di selezione. Sul futuro del Museo, è inevitabile non lasciare una delle principali istituzioni culturali della Città senza una guida salda e sicura nei prossimi mesi. Ma sulle prospettive delle relazioni tra Regione e Comune, sia per quello che riguarda gli strumenti di scelta delle figure con responsabilità, sia per quello che riguarda le politiche culturali dei nostri enti culturali, è necessario fare chiarezza. Se non è possibile condividere strumenti e scelte, se le visioni politiche culturali sono inconciliabili, meglio sciogliere questi matrimoni destinati al fallimento, Regione e Comune si suddividano compiti e responsabilità e ognuno vada per la sua strada.
Nella seduta del Consiglio regionale di oggi ho chiesto all’Assessore più trasparenza su questo processo, ovvero di sapere “quanto è stata pagata la società incaricata di fare la selezione, quali sono i nomi della short-list e perché nessuno è risultato idoneo. C’è la percezione che il problema sia stato legato esclusivamente al gradimento politico. Se così fosse, sarebbe estremamente grave“.
La cosa certa, in conclusione, è che non possiamo, a causa di litigi e divisioni tutte politiche, permetterci di diventare zavorre per le nostre istituzioni culturali finendo per impedirne il pieno funzionamento e sviluppo.