La mancata netta vittoria elettorale del PD alle politiche ha il valore di una sonora sconfitta: questa è la considerazione da cui partire.
Dall’armadio del passato abbiamo recuperato la Coalizione dei Progressisti e abbiamo rimediato una batosta peggiore di quella ricevuta da Occhetto nel 1994 (nel 1994 la coalizione di Occhetto prese 12,6 milioni di voti, pari al 32,8% dei votanti; la coalizione di Bersani ha ottenuto 10 milioni di voti, pari al 29,5%). Praticamente siamo riusciti a sbagliare un rigore a porta vuota!
Sarebbe ingeneroso attribuire al segretario Bersani tutte le colpe della sconfitta: questo risultato dimostra che un’intera classe dirigente del PD ha perso la capacità di ascoltare la gente normale.
Questa sconfitta però non deve indurci unicamente a una riflessione su scala nazionale, cioè a interrogarci sulla nostra incapacità di fare proposte politiche comprensibili, sull’inidoneità del nostro linguaggio, sulla riluttanza a dare risposte alla richiesta di rinnovamento e di abbattimento dei costi della politica.
La sconfitta è stata anche una sconfitta piemontese e torinese: in alcune circoscrizioni popolari di Torino (Vallette e Barriera di Milano) ed in tanti comuni della ex cintura rossa oggi i 5 Stelle sono il primo partito. Ecco perché non possiamo non interrogarci sul modo di essere del PD piemontese e torinese e su come operiamo all’interno delle istituzioni.
IL PD A LIVELLO LOCALE.
Mentre la società cambia e la domanda di partecipazione cresce con modalità nuove, mentre il web sorpassa la TV e crea partiti virtuali, il PD è strutturato ed opera secondo le logiche di un partito di massa del Novecento, con presidi su ogni territorio – mantenuti con fatica da generosi militanti – che però fanno sempre più fatica ad avere un dialogo vero con la comunità che li circonda: sempre più spesso infatti nelle nostre iniziative ci troviamo e ci parliamo solo tra noi, incapaci di interessare e mobilitare al di fuori dei nostri militanti.
Quando nel 2007 il PD nacque, alla base vi era l’idea delle primarie, del dare sovranità nelle nostre decisioni a tutti i cittadini elettori del centrosinistra. Questo strumento viene però vissuto con fastidio, è stato depotenziato con tentativi di tornare ad un modello di partito fondato sul tesserato. Da ultimo a Torino è ricomparsa la logica delle adesioni per pacchetti di tessere, spesso sganciati da adesioni personali effettive, gestiti con la stessa logica dei partiti della Prima Repubblica.
Il PD torinese e piemontese deve essere guidato da una generazione nuova, libera dai condizionamenti di fatto da parte di coloro che erano già classe dirigente nei partiti degli anni Settanta, persone di valore, ma con in testa un modello di partito che non rispecchia il mondo attuale.
Il partito deve recuperare la sua vocazione pluralistica e maggioritaria, sforzandosi di dare voce e rappresentanza a tutte le culture politiche che hanno concorso alla sua fondazione e che oggi sono divenute marginali al suo interno.
In parecchie circoscrizioni e comuni il PD è inesistente, non si riunisce neppure o è in mano a gruppi ristretti tesi più a coltivare la purezza ideologica che non un dialogo con il mondo di fuori. Le sedi hanno ancora immagini e simboli di partiti scomparsi vent’anni fa, che fanno pensare più ad un museo del Risorgimento che non ad un partito 2.0.
Il PD ha perso voti ovunque, ma nessun segretario in tutta Italia ha sentito il bisogno di dimettersi dal proprio incarico. Alla fine è emersa la sensazione che non siamo stati tanto noi a non capire la società, quanto i cittadini a non capire noi!
IL PD NELLE ISTITUZIONI
Anche il nostro modo di essere dentro le istituzioni va rivisto.
Le logiche con cui ci muoviamo portano spesso ad avere sindaci o presidenti forti, ma giunte di una debolezza disarmante, con assessori spesso inadeguati, talvolta perfino arroganti. In Regione anche per questo abbiamo perso le scorse elezioni. Le assemblee elettive vengono spesso viste con insofferenza e fastidio da sindaci e assessori: occorre invece che venga loro riconosciuta la dignità propria di un organo che ricava la propria legittimazione direttamente dai cittadini e che può essere di aiuto per evitare che chi guida l’amministrazione compia errori o si distacchi troppo dai cittadini.
Molte volte diamo l’idea di non essere interessati ad ascoltare i cittadini, ma di avere già noi tutte le risposte. Spesso sembriamo più attenti a perpetuare una storia che non a costruire un futuro migliore per tutti. Chiamiamo di frequente in causa la società civile, ma poi occupiamo tutti i posti di sottogoverno con i fedelissimi del gruppo di potere che guida la singola amministrazione.
Vendiamo con facilità monopoli naturali come aeroporti ed inceneritori, ma per noi alcuni santuari storici creati da nostri compagni di partito sono intoccabili.
DOBBIAMO CAMBIARE E SUBITO
Sta esaurendosi la spinta che dal 1993 ha saldato intorno ad una classe politica di centro-sinistra le forze migliori della società, coinvolgendole in un processo di governo e di trasformazione della città e della provincia durato vent’anni. Se non riconosciamo che siamo alla fine di un’epoca, non possiamo ripartire con le energie e le forze nuove che in questo tempo sono maturate.
Una nuova Torino e un nuovo Piemonte sono cresciuti, nuove risorse sono oggi sulla scena: nuovi imprenditori, anche giovani e globali, nuovi professionisti, nuovi animatori di esperienze di volontariato. Ci sono talenti, anche fuori dal Palazzo, mani che non bussano alle porte delle istituzioni perché non hanno l’ansia dell’incarico pubblico, perché la loro vita è altrove. Ma credo che anche di queste persone oggi la politica abbia bisogno per portare aria nuova dentro un mondo sempre più asfittico.
Oggi siamo in tanti a dire questo cose. Due anni fa, o anche solo due mesi fa, eravamo in pochi. Dobbiamo però evitare il gattopardismo: la corsa a cambiare casacca ed opinione, ma solo all’apparenza, per mantenere invece nei fatti tutto come prima.
La situazione attuale ci pone una forte responsabilità: non abbiamo bisogno di parole, ma di gesti concreti. Su questo infatti si misurerà la capacità di riscatto del PD.
PARLIAMO DI PROPOSTE CONCRETE
Con spirito costruttivo proviamo a elencare alcune proposte, frutto di una riflessione collettiva, che ci piacerebbe fossero oggetto di discussione, di critica o foriere di ulteriori controproposte all’interno degli organi del PD, nella consapevolezza che nessuno di noi ha la verità in tasca, ma che tutti possiamo e dobbiamo contribuire a superare questo difficilissimo momento.
In attesa dell’elezione dei nuovi segretari tramite primarie, integrare e modificare le segreterie di partito, investendo di responsabilità una nuova squadra, rinnovata e riconosciuta per capacità, per gestire la transizione, fuori da equilibri di corrente, ma con dimostrato radicamento sociale; sperimentare nuove regole di governance e di legittimazione degli organi, provando a superare la logica del tesseramento specie nei territori in cui si evidenziano situazioni abnormi;
Avviare il progetto PD Torino 2.0: nuovi coinvolgimenti online, utilizzo delle piattaforme web per favorire una nuova partecipazione all’azione di partito; ricorrere allo strumento del referendum e delle petizioni, sul doppio binario, online e territoriale, sul modello della campagna contro la vendita degli ospedali avviata dal gruppo regionale;
Integrare il modello di partito organizzato su base orizzontale (cioè per circolo di territorio) creando organizzazioni verticali, trasversali ai livelli di governo, competenti per materia, finalizzate a elaborare politiche su singoli temi; misurarne l’attività e l’efficacia; non appaltare alle giunte degli enti locali le decisioni sulla linea politica del partito;
Dar vita a una sorta di stati generali: una campagna di ascolto di tutte le formazioni sociali del territorio per allinearci sui problemi e confrontarci sulle soluzioni;
Ridefinire una immagine nuova e coordinata del PD e delle sue sedi decentrate, in un’ottica di apertura a nuove partecipazioni, superando eccessi di radicamento nel passato;
Superare le logiche di spartizione interna dei membri indicati dal PD nelle giunte, con conseguente perdita di ruolo dei componenti dell’esecutivo; rimettere in toto ai sindaci o presidenti eletti la responsabilità della composizione degli esecutivi, equilibrata però da un’azione netta e puntuale di valutazione del loro operato da parte delle assemblee elettive;
Terminare la rincorsa alle emergenze e alle scelte dettate dalle necessità insuperabili dell’ultima ora; ritornare alla logica dei beni comuni: no alle privatizzazioni per principio, ma anche no alla salvaguardia per principio di tutto l’esistente;
Utilizzare nuovi sistemi di selezione della classe dirigente allargata, cioè delle persone della società civile da chiamare alla guida di enti o società partecipati dal pubblico; adeguarsi alle nuove leggi con la nomina di CdA ridotti nel numero (tre amministratori, di cui due dipendenti dell’ente locale controllante e un AD tecnico cui affidare tutti i compiti di gestione) e maggiore rispetto all’equilibrio di genere; far rispettare i limiti di legge sulle retribuzioni degli amministratori delle partecipate; creare Advisory Board in cui chiamare a titolo gratuito le migliori professionalità della società civile;
Garantire il rispetto del limite massimo dei mandati per tutti gli incarichi elettivi o di governo.
Davide GARIGLIO Silvia FREGOLENT Stefano LEPRI
Alberto AVETTA Roberto CAVAGLIÀ Davide FAZZONE
Guido ALUNNO Domenica GENISIO Domenico MANGONE
Marco MUZZARELLI Daniele VALLE