(di Mauro Grassi – da www.officinedemocratiche.it)
I sondaggi, al di là della centralità comunicativa dovuta alle primarie e anche ad una certa assenza dei partiti e dei leader del centro destra, risentivano certamente di questo “allargamento politico culturale”. E davano ragione di un partito, il pd, che forse per la prima volta, in maniera non velleitaria, dava la sensazione di poter giocare fino in fondo la sua vocazione maggioritaria.
Non tanto, e non solo, perché i numeri segnalavano questa tendenza. Ma anche perchè effettivamente, il dibattito che si stava sviluppando dentro il pd fra i vari leader delle primarie, tendeva davvero a rappresentare l’intera gamma dei filoni culturali e politici che in Europa e nel mondo si richiamano al pensiero democratico.
La situazione attuale del pd, che si appresta ad una difficile e non scontata battaglia elettorale, non è più quella del “momento magico” delle primarie per il candidato Presidente. I motivi sono diversi. Alcuni sono oggettivi, e dipendono dal continuo cambiamento della situazione politica italiana, che non appare per nulla stabilizzata (per esempio lo “stop and go” del centrodestra). Altri invece sono soggettivi: cioè dipendono da modo in cui il gruppo dirigente del pd e il corpo militante hanno interpretato l’esito della competizione delle primarie.
Cominciamo da quelli soggettivi. Le primarie ci hanno parlato di un corpo elettorale, che in qualche modo faceva riferimento al pd, attraverso la soggettività dei suoi leader (Renzi e Bersani in particolare), abbastanza ampio. Invece di prendere atto e sfruttare questa apertura il gruppo dirigente del pd e il suo corpo più militante si è sentito “invaso” da un mondo non tradizionale e si è in parte chiuso a difesa della propria, tradizionale identità. Non credo che l’apertura completa avrebbe portato alla vittoria il candidato Renzi. Ma certamente avrebbe portato il pd a rappresentare una fetta ampia della società italiana.
A questa prima “parziale chiusura” è seguita la seconda, per alcuni versi meno vistosa e meno discussa ma non meno negativa, chiusura. Le primarie per la selezione dei candidati al Parlamento, fatte in pochissimi giorni e con riferimento al gruppo militante più stretto, hanno di fatto sfavorito quelle personalità che erano più “esterne” al partito. E che certamente rappresentavano maggiormente la società civile che si era affacciata, con interesse e spesso senza grande esperienza e con pochi legami interni al partito, alle vicende politiche del pd.
Infine, dopo lo svolgimento delle primarie, grazie anche al “distacco” di Renzi dalla politica attiva nazionale (per alcuni correttamente, per altri colpevolmente), il gruppo dirigente del pd e il corpo militante hanno teso a dare un’immagine del partito finalmente recuperato alla sua, forte e serena, identità tradizionale. Gli accenni al sostegno al Governo Monti si sono diradati, sono iniziate le valutazioni critiche (alcune giuste altre invece chiaramente stonate rispetto al ruolo reale, d’emergenza, che tale Governo aveva giocato) e si è cercato di allontanare il pd dall’esperienza del Governo che fino a pochi giorni prima era stato sostenuto in Parlamento.
Intendiamoci. Nessuno pensa che il pd poteva presentare una propria Agenda strettamente sovrapposta a quella del Governo Monti, né che il pd poteva, in una situazione di profonda crisi economica e sociale del paese, sottolineare gli elementi di continuità senza immettere invece elementi di rottura e di cambiamento. Il fatto è però che questi elementi non dovevano far allineare, neppure parzialmente, il pd alle valutazioni dei tanti partiti, partitini e movimenti del paese che, quasi dimenticando le responsabilità dei Governi degli ultimi trenta anni (e forse anche prima!), si sono scagliati contro il Governo Monti in maniera demagogica, populista e disfattista.
E invece questo è in parte successo. E la mancanza di visibilità della componente più moderata e liberale del pd nel dibattito interno al centrosinistra (che è seguito peraltro ad un attivismo del tutto legittimo ma perdente degli uomini che sostenevano e sostengono l’asse fassina-vendola) ha lasciato libero e vuoto uno spazio politico che è stato immediatamente occupato dal Monti politico.
E così invece di un centrosinistra “ampio” con Monti presidente della Repubblica si è arrivati all’ipotesi di un centro sinistra “stretto” con Monti che si è proposto come competitore sulla fascia centrale e come attrattore di voti dei tanti elettori moderati e liberali che si erano avvicinati al pd nel momento “alto” delle primarie fra Renzi e Bersani.
Ed ecco che oggi l’economista Ichino, da tanto tempo mal sopportato per le sue idee liberali da parte di gran parte del corpo militante e del gruppo dirigente del pd, si presenta come capolista di Monti nella rossa Toscana. Quella rossa Toscana che, nelle primarie, si è schierata in maggioranza per Renzi, e che ha dato negli ultimi tempi, accanto ad una grande stabilità nel campo del centrosinistra, evidenti segnali di voglia di cambiamento e di innovazione politica e sociale.
Non penso che nelle elezioni politiche ci sarà un passaggio dei voti “renziani” alle liste “montiane” guidate da Ichino. Ma penso comunque che la vicenda di Renzi, l’uscita di Ichino e l’attuale situazione in cui si trova il pd, stretto fra un Vendola sempre più combattivo (se si tratterà con Monti, dovremo prendere in considerazione anche un rapporto con Ingroia!) e le liste montiane, segnalino una occasione persa per avere finalmente in Italia un centrosinistra forte e riformista e un partito centrale, il pd, aperto e innovativo a effettiva vocazione maggioritaria.
In questa vicenda un ruolo importante, e particolare, è stato svolto e viene attualmente svolto da Renzi. Per molti politici (D’alema in testa!) e giornalisti l’atteggiamento del leader fiorentino è strettamente in linea con quanto predicato durante la competizione nelle primarie: “se perdo, mi ritiro e continuo a fare il sindaco di Firenze”. L’attuale posizione, un po’ defilata e assente (un po’ aventiniana), sarebbe un segno di coerenza e di correttezza politica e personale.
Per altri invece questa assenza è, in parte, la causa dell’attuale difficoltà del pd. Un conto è accettare la sconfitta e ritirarsi dalla competizione per la candidatura a Presidente. Un altro è il ritiro completo dal dibattito politico del centrosinistra sulla politica e sulla crisi del paese che lascia, di fatto, il pd orfano di un referente culturale di un’area politica “nuova e in parte di più difficile tenuta a sinistra” e che ha aperto lo spazio alle liste montiane ad incursioni significative nell’elettorato del pd.
Per molti militanti del Pd, Ichino capolista in Toscana delle liste Montiane è un segno di chiarezza e la fine di tormentone politico. Per altri è invece il segno di una sconfitta culturale, prima che politica. Cioè la sconfitta di un partito che non è riuscito, o che riesce con difficoltà, a tenere legati assieme il pensiero liberaldemocratico (che poi è quello di leader come Obama negli Usa) con quello socialdemocratico di stampo europeo.
Per molti osservatori questa “sconfitta” non esiste. Ed è stata, ammesso che fosse in corso, ampiamente colmata dall’azione intelligente di Bersani che ha candidato, nelle liste centrali, importanti personalità del mondo moderato e liberale. I risultati della competizione elettorale daranno elementi per capire il senso, il livello e la presenza di questa, eventuale, sconfitta.
Per quanto mi riguarda non credo che la presenza di soggetti carismatici di “fede liberaldemocratica” ora dall’una (Ichino) ora dall’altra parte (dell’Aringa) sarà risolutiva. Penso invece che il pd dovrà sviluppare una proposta più ampia e innovativa, non legata soltanto alle sue culture tradizionali, per rispondere in maniera più ampia alle diverse esigenze della società italiana. E che da questa ampiezza dipenderà la capacità di tenere legata al pd una fascia di società civile che è meno abituata al linguaggio, e ai contenuti, della sinistra tradizionale. In questa vicenda il ruolo di Renzi sarà importante. E conterà di più la sua capacità di rappresentanza e di riferimento dentro il dibattito sulla crisi del paese rispetto al suo “fair play” che lo potrebbe far continuare a stare fuori da una battagli elettorale che si preannuncia breve ma molto difficile per il centrosinistra.