Il momento (e il motivo) perfetto per ritirarsi
Ferdinando Camon – La Stampa
Diventata campione del mondo, Flavia Pennetta annuncia: «Mi ritiro. È il momento perfetto per ritirarsi». È un ammonimento per noi tutti: quando dobbiamo smettere? Qual è il momento perfetto per passare la mano? Per uno sportivo, un politico, un artista, uno scienziato?
Per la verità, la campionessa del mondo ha anche detto: «Voglio sposarmi e vivere una vita normale». È possibile che intenda dire «avere dei figli». Se è così, la capisco. Avere dei figli è più bello che avere il titolo mondiale. Non dico «più importante», perché non è eccezionale, ma «più bello». Il completamento del vivere è trasmettere la vita. Per restare nel mio campo, quello di chi scrive, ho sempre pensato che Moravia, Pasolini, Parise sapevano un sacco di cose che io non sapevo, ma io sapevo una cosa che loro non sapevano: cosa vuol dire aver figli, e cioè cos’è la vita. Se non hai figli, non sai cos’è la vita.
Ogni vita è una competizione, e la Pennetta dice che dalla competizione ti conviene ritirarti quando sei all’apice. E qual è l’apice?
Per lei, che fa sport, è facile rispondere: l’apice è il titolo mondiale. Tutto quello che fan gli uomini adesso è cronaca, diluita in migliaia di articoli, domani sarà storia, e di un migliaio di nomi, 999 saran perduti. Ne resta uno, il vincitore. Sii quel nome, prima di ritirarti, e non morirai più.
La vita è un grafico, come quello della Borsa: è bella se termina in alto, in verticale. Allora è una vita vincente, tutti vorrebbero vivere la tua vita. Se termina in basso, in discesa, è la vita di un perdente, tutti si scansano da te. Ci sono vite che han toccato vertici altissimi, ma non si sono fermate, e poi sono precipitate. Per esempio, visto che se ne parla sempre, quella di Pasolini. Ha scritto libri immortali, sarà letto sempre e giustamente, ma saran lette 500 pagine, al massimo 700: invece la sua opera omnia occupa otto Meridiani da duemila pagine l’uno, in totale 16.000 pagine.
Un lettore che le legga tutte, alla fine calcola la grandezza dell‘autore stabilendo la media delle altezze toccate, e quella media è bassina. Ha scritto troppo. Gli conveniva fermarsi prima. Quando era Pasolini, prima di diventare D’Annunzio.
Ma è visibile questo «prima»? Qui è il problema. Se uno lavora nello sport, sente quando le forze calano (la Pennetta lo sente, per questo si allarma), e se uno lavora nella scienza, capisce quando raggiunge un risultato, perché la scienza te ne dà le prove. Sul «bosone di Higgs» c’erano dei dubbi, ma alla fine lo hanno trovato, e quando dal Cern hanno mandato la notizia a Higgs, vecchio e in cattiva salute, lui ha risposto: «Grazie per aver confermato la mia scoperta mentre sono ancora in vita».
Perché questo dà un senso alla sua vita, che altrimenti si sarebbe conclusa nel buio del dubbio. Chi lavora nell’arte resta sempre in dubbio. «Scrivo di notte – raccontava Pratolini -, in una stanza vuota, su un tavolo pieno di sigarette. Alle 5 vado a letto, convinto di avere scritto Guerra e pace. Otto ore dopo mi rialzo, rileggo, e mi cascan le braccia».
La Pennetta ha fatto un capolavoro, e glielo conferma il titolo mondiale. Ma nel fare libri, o film, o quadri, non c’è premio che ti garantisca la riuscita. Vai avanti sperando sempre che l’opera che stai facendo superi le precedenti. È impossibile fermarsi.
Nello sport, quando sei campione del mondo puoi fermarti. Nella scienza, quando hai trovato ciò che tutti cercavano puoi fermarti. Nell’economia, quando hai costruito quel che volevi puoi fermarti. Nell’arte, no. Morirai senza aver raggiunto l’«attimo bello», ma avendone al massimo, come Faust, un dubbioso presentimento.
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