SOSPENDIAMO IL CETA, PROTEGGIAMO IL MADE IN ITALY
Il 15 febbraio 2017 il Parlamento Europeo ha votato a favore del Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) che, per i meno esperti di commercio internazionale, rappresenta un accordo economico e commerciale di portata globale fra due partner: da un lato l’Unione Europea stessa e dall’altro il Canada. Il trattato, firmato il 30 ottobre 2016, ha diversi obiettivi:
- liberalizzazione degli scambi, con uguale trattamento delle merci da entrambe le parti;
- progressiva riduzione reciproca dei dazi sulle merci;
- abbattimento di divieti e restrizioni alle importazioni ed esportazioni di merci provenienti dall’altra parte.
In linea ideale questo accordo può, giustamente, sembrare un interessante patto fra “gentiluomini” e una buona opportunità per agevolare gli scambi abbattendo le barriere.
In realtà sono molti i punti che destano non poche perplessità perchè si sa che, se cambiamento significa rinuncia ad ogni forma di tutela, quelle che potrebbero essere opportunità diventano boomerang.
In questo senso, come gruppo del Partito Democratico abbiamo presentato ieri in Consiglio Regionale del Piemonte un ordine del giorno (che purtroppo non siamo ancora riusciti a discutere), con primo firmatario il nostro capogruppo e Segretario Regionale, per segnalare cosa non ci piace di questo accordo e perchè queste condizioni non sono per l’Italia accettabili. Ecco le motivazioni che ci spingono a chiedere una sospensione della ratifica del trattato:
- il CETA introduce sostanzialmente un meccanismo di deregolamentazione degli scambi e degli investimenti che non giova alla causa del libero commercio e pregiudica in modo significativo la competitività e l’identità del sistema agroalimentare nazionale;
- i vantaggi in termini di crescita degli scambi e dell’occupazione risultano dubbi e comunque non tali da giustificare i rischi insiti nell’Accordo stesso;
- manca il riferimento alla portata vincolante del principio di precauzione, che, in Europa, impone una condotta cautelativa nelle decisioni che riguardano questioni scientificamente controverse circa i possibili impatti sulla salute o sull’ambiente;
- non vi è alcuna clausola che comprenda il tema dei diritti dei lavoratori;
- con riguardo al settore agricolo, il Canada eliminerà i dazi per il 90% dei prodotti agricoli al momento dell’entrata in vigore dell’accordo e per il 91,7% dopo una transizione di sette anni. L’Unione europea eliminerà il 92,2% dei dazi agricoli all’entrata in vigore dell’accordo ed il 93,8% dopo sette anni. I vantaggi derivanti dall’Accordo sono solo apparenti, considerando, ad esempio, che l’Italia importa dal Canada 1,2 milioni di tonnellate di grano duro ed esporta in Canada circa 23.000 tonnellate di pasta soltanto, vale a dire circa l’1,4% delle esportazioni mondiali di pasta che ammontano ad oltre 1 milione e seicentomila tonnellate l’anno;
- garantisce solo scarsi standard qualitativi e di sicurezza, in ragione della mancanza di un sistema di regole che tuteli i consumatori e assicuri evidenza e trasparenza sull’origine delle materie prime;
- semplifica e vanifica il complesso sistema di regole di produzione, di protezione della qualità e dell’ambiente vigente a livello comunitario e nazionale, rispondendo all’unico criterio della facilitazione commerciale ed affidando valutazioni e giudizi di conformità e responsabilità, in modo permanente, a più di una decina di Commissioni apposite create dal Trattato e sottratte allo scrutinio giurisdizionale, tecnico e parlamentare, sia di livello comunitario che nazionale;
- sul fronte dell’export agroalimentare, all’Italia sono riconosciute appena 41 indicazioni geografiche a fronte di 291 Dop e Igp registrate; con la conseguente rinuncia alla tutela delle restanti 250 ed impatti gravissimi sul piano della perdita della qualità del nostro made in Italy;
- la tutela delle indicazioni geografiche riconosciute non impedirà l’utilizzo in Canada di indicazioni analoghe per coloro che abbiano già registrato o usato commercialmente tale indicazione (sono compresi nell’eccezione formaggi, carni fresche e congelate e carni stagionate). In sostanza, si potrà continuare a vendere “prosciutto di Parma” canadese, in coesistenza con quello DOP italiano;
- al contempo, il CETA consentirà le “volgarizzazioni” legate ai nomi dei prodotti tipici dell’italian sounding (ad esempio, il Parmesan) e la convivenza sul mercato con le denominazioni autentiche dei nostri prodotti;
- introduce, infine, l’applicazione del principio di equivalenza delle misure sanitarie e fitosanitarie, che consentirà di ottenere il mutuo riconoscimento di un prodotto e che, quindi, permetterà ai prodotti canadesi di non sottostare a nuovi controlli nei Paesi in cui verranno venduti, dimostrandone semplicemente l’equivalenza con quelli commercializzati dalla controparte. Tale meccanismo è estremamente rischioso per la salute dei consumatori, considerando che, ad oggi, in Canada sono impiegate molte sostanze vietate nell’Unione europea, tra cui, a mero titolo di esempio, il glifosato in fase di pre-raccolta del grano. Inoltre, in Canada vi è un diffuso impiego di ormoni negli allevamenti, non consentito in Italia.
Dal momento che riteniamo la tutela del consumatore, della qualità e dell’ambiente pilastri fondamentali e irrinunciabili della politica economica del nostro paese, sarebbe saggio fermarsi, finchè si è in tempo e ridiscutere le condizioni di questo Accordo. Prima che sia troppo tardi per noi, per i nostri prodotti e per i nostri cittadini.
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