COMUNICATO STAMPA
Torino, 27 dicembre 2016 – La Città Metropolitana di Torino, nella persona del vice Sindaco Marocco, ha annunciato ieri la bocciatura della richiesta di istituire un indirizzo di Liceo linguistico all’interno del Liceo Aldo Moro di Rivarolo Canavese.
“E’ stata persa una grande occasione per il territorio del canavese. – afferma l’Onorevole Francesca Bonomo – Come confermato dallo studio presentato dal dirigente scolastico dell’istituto Aldo Moro, il bacino potenziale di riferimento per questa offerta formativa è molto ampio ed è stato un vero peccato non tenere in considerazione questo elemento. L’amministrazione metropolitana ha inoltre gestito questa procedura, spiace dirlo, – prosegue Bonomo – in maniera poco trasparente, non riuscendo a coinvolgere con le adeguate tempistiche e modalità i sindaci interessati e le istituzioni scolastiche”.
“Prendiamo atto, non senza disappunto, della decisione della Città Metropolitana, – dichiara il Presidente della Commissione Istruzione della Regione Piemonte Daniele Valle – e accogliamo con soddisfazione l’impegno che l’assessora regionale all’Istruzione Gianna Pentenero si è assunta, con la delibera sul dimensionamento, di istituire un tavolo specifico sul tema che coinvolga anche gli enti locali, la Città Metropolitana stessa e le autonomie scolastiche, al fine di garantire una maggiore condivisione ed una migliore concertazione di decisioni delicate come questa”.
(QUI un articolo del Quotidiano del Canavese che spiega tutta la vicenda)
Approfittiamo delle festività per sorridere di più e per tendere la mano a chi ci circonda, nessun rapporto umano deve essere mai dato per scontato.
Auguri di un sereno #Natale a tutti voi e alle vostre famiglie.
Il Consiglio regionale del Piemonte ha indetto un bando pubblico per l’assegnazione di patrocini onerosi a sostegno di progetti e iniziative in ambito culturale, artistico, sportivo, sociale, turistico e promozionale promossi da enti pubblici ed enti privati (enti e associazioni private senza scopo di lucro).
Le istanze devono essere presentate con le seguenti scadenze:
- per le attività che si svolgono dalla data di pubblicazione del bando fino al 30 aprile 2017, entro le ore 12.00 del 19 gennaio 2017;
- per le attività che si svolgono dal 1° maggio 2017 al 31 agosto 2017, entro le ore 12.00 del 28 aprile 2017;
- per le attività che si svolgono dal 1° settembre 2017 al 31 dicembre 2017, entro le ore 12.00 del 31 agosto 2017.
L’importo complessivamente stanziato per il sostegno dei patrocini onerosi ai sensi del presente bando è pari ad € 100.000 per gli Enti e € 290.000 per le Associazioni, salvo ulteriori disponibilità definite dall’Ufficio di Presidenza con variazione di bilancio.
Tali stanziamenti possono essere assegnati nella misura di non oltre un terzo per ogni periodo previsto (vedi punto 4. Modalità e termini per la presentazione delle istanze), salvo diversa decisione dell’Ufficio di Presidenza.
Le richieste verranno soddisfatte in base alla graduatoria di merito fino all’esaurimento dei fondi.
Si è aperto in questi giorni un contrasto rilevante fra Regione Piemonte e Comune di Torino per la nomina del nuovo direttore amministrativo del Museo del Cinema, che dovrà occupare il posto rimasto vacante dopo le dimissioni di Alberto Barbera.
Il Comitato di gestione, nella seduta di ieri, non ha potuto deliberare la nomina del nuovo direttore poichè è venuto a mancare il numero legale. “Non c’era sintonia sul nome rispetto alla rosa uscita dalla Praxi, la società a cui è stata affidata la selezione. Dopo che Paolo Verri, gradito alla Regione ma non al Comune, si era tolto di mezzo ritirando la sua disponibilità, era emersa la figura di Alessandro Bianchi, ex segretario della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ed ex segretario del Maxxi di Roma. Nome appoggiato dalla Regione e dall’assessore alla Cultura, Antonella Parigi, ma non dal Comune e dall’assessore Francesca Leon” (qui l’articolo integrale di Repubblica sulla vicenda).
Personalmente ritengo che quello che è successo ieri nella riunione del consiglio direttivo del Museo del Cinema sia molto preoccupante per le prospettive dell’ente e, in generale, per la collaborazione tra Comune di Torino e Regione Piemonte.
Su quello che è capitato, è necessario che la Commissione Cultura possa acquisire in fretta il mandato e le risultanze del lavoro della società di selezione. Sul futuro del Museo, è inevitabile non lasciare una delle principali istituzioni culturali della Città senza una guida salda e sicura nei prossimi mesi. Ma sulle prospettive delle relazioni tra Regione e Comune, sia per quello che riguarda gli strumenti di scelta delle figure con responsabilità, sia per quello che riguarda le politiche culturali dei nostri enti culturali, è necessario fare chiarezza. Se non è possibile condividere strumenti e scelte, se le visioni politiche culturali sono inconciliabili, meglio sciogliere questi matrimoni destinati al fallimento, Regione e Comune si suddividano compiti e responsabilità e ognuno vada per la sua strada.
Nella seduta del Consiglio regionale di oggi ho chiesto all’Assessore più trasparenza su questo processo, ovvero di sapere “quanto è stata pagata la società incaricata di fare la selezione, quali sono i nomi della short-list e perché nessuno è risultato idoneo. C’è la percezione che il problema sia stato legato esclusivamente al gradimento politico. Se così fosse, sarebbe estremamente grave“.
La cosa certa, in conclusione, è che non possiamo, a causa di litigi e divisioni tutte politiche, permetterci di diventare zavorre per le nostre istituzioni culturali finendo per impedirne il pieno funzionamento e sviluppo.
Dopo il referendum non si parla più di riforme costituzionali: ha vinto il «No» ma quanto è sostenibile il No al cambiamento?
La netta vittoria del No al referendum sembra aver convinto tutti che le riforme alla Costituzione non siano più necessarie. La classe politica ha ora altri pensieri e si è doverosamente ritirata in buon ordine, perché il popolo ha parlato. E chi siamo noi per giudicare il popolo? Vince la maggioranza ed è giusto così. Ma non dovremmo confondere la maggioranza con la verità assoluta.
Il voto «contro» ha travolto tutto e le ragioni del Sì sono state un’arma debole contro la possibilità – offerta su un piatto d’argento – di cacciare il governante in carica. Non viene in mente un premier degli ultimi vent’anni che non sarebbe stato travolto in un Paese con la disoccupazione all’11,6% e dopo anni pesanti, se al popolo fosse stata data questa possibilità.
Ora che di Costituzione non si parlerà più per un po’, però, si può dire che la gran parte delle misure era una sacrosanta semplificazione, richiesta evergreen e bipartisan, a un sistema da tutti definito troppo complicato, in cui da anni ci si lamenta dei troppi decreti e di un Parlamento inadeguato. Si poteva fare meglio, si poteva scrivere meglio il testo, si poteva trovare una maggiore condivisione (la condivisione di molti in Parlamento c’era ed è stata poi ritirata) e la poca chiarezza sull’elezione dei senatori non ha aiutato. Ma non prendiamoci in giro sulla sostanza. Per colpe varie, in primis di Matteo Renzi, il voto non è stato sulla Costituzione. Parliamo del resto.
Sono giorni senza vincitori. Il No ha vinto ma i sostenitori non possono andare al voto, chi voleva la riforma si trova davanti un governo anomalo , allo stesso tempo simile e molto diverso da quelle precedente. C’è una parte del Paese profondamente delusa dall’esito del voto, che lunedì scorso pensava di vivere il remake italiano del risveglio dopo Brexit. Quello di giugno era stato uno shock. Questo è meno forte, perché riguarda più l’Italia che tutta l’Europa, perché troveremo un modo per uscirne pure questa volta, perché gli italiani sono fatti così.
La delusione ha qualcosa a che fare con l’effimera sensazione che negli ultimi tempi l’Italia si fosse mossa un po’. Non bisogna essere renziani e nemmeno del Pd per riconoscere alcuni fatti. L’amore di polemica e i tormentoni travolgono tutto e semplificano: per esempio tanti pensano davvero che Renzi sia come Berlusconi a causa dello stile personalistico della comunicazione. Ora, sarà vero che Renzi a volte esagera, ma non è Berlusconi, né nel bene né nel male. Nel male per esempio: Renzi non è Berlusconi per conflitti di interessi e inchieste giudiziarie. Eppure quel messaggio è passato.
I fatti: alcuni indicatori economici dicono che l’economia italiana è migliorata durante il governo Renzi. La crescita è debole e alcuni fondamentali potrebbero essere migliorati anche grazie al lavoro dei governi Monti e Letta. I conti pubblici non migliorano ma le famiglie italiane stanno meglio e la disoccupazione è calata, pur restando alta.
Chi non ha lavoro e ha perso le speranze ha ragioni da vendere per andare a votare «contro». Ciascuno dei No, e forse in particolare i No maturati da sofferenze economiche, meritano rispetto. Il problema è che la somma dei singoli No, e il No gridato al Sistema, non offre in risposta alcuna garanzia di uscire dal problema stesso. È come andare a un corteo la domenica mattina: è sacrosanto manifestare se si crede in qualcosa, ma poi ugualmente il pranzo non sarà gratis, offerto dai valori di un tempo.
L’Italia è in effetti spaccata. La parte di Paese che lavora e compete nel mondo, indipendentemente da aver votato Sì o No, sa benissimo che non ha alcun senso rifiutare il Sistema. Lo sa perché ne fa parte, paga fior di tasse, e lavora tanto, perdendo a volte il tempo con burocrazie ottocentesche. Questa parte sa che non c’è welfare che possa tenere se non c’è lavoro, sa che il lavoro non c’è se non ci sono gli investimenti. Questa parte di Paese, lunedì mattina, si è sentita un po’ presa in giro ma dopo tutto si è rimessa al lavoro: è abituata a fare le cose nonostante lo Stato.
Il dramma è di chi è senza lavoro e speranze: è un’altra parte di Paese, che conterebbe sull’aiuto dello Stato e ha votato No per dire che così non va. Il dramma è che la riforma, a volerci credere anche solo parzialmente, prometteva un cambiamento. Un governo più stabile è quello che qualunque investitore vorrebbe vedere. Senza governo gli investimenti possono rallentare e così il lavoro. Non è un ricatto, non è turbocapitalismo: è semplicemente capire le regole del gioco, se si vuol giocare.
È tutto parte di un problema più ampio, ovviamente, e ciò è maledettamente noioso e poco sexy e non cattura l’attenzione dell’elettorato, creando un bel problema. Proprio chi poteva tifare di più per un cambiamento ha votato No e rischia di pagarne le conseguenze.
Nel 2009 negli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha deciso di spendere 787 miliardi di dollari per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007. I risultati si sono visti perché oggi la disoccupazione è scesa sotto al 5%. Si può dire che l’America abbia creato il lavoro. Pur essendo un sistema economico diverso e molto più competitivo, con ancora meno garanzie per i lavoratori, viene da chiedersi: perché Renzi non ha fatto altrettanto? Non aveva quei soldi, perché l’Italia presenta ogni anno il proprio bilancio alla Commissione europea, che con l’obiettivo politico di tenere insieme l’Unione economica bacchetta i Paesi che spendono troppo rispetto a quanto incassano.
La reazione immediata è «al diavolo l’Europa!», e in parte anche Renzi ha chiesto di cambiare questa visione sui conti in Europa. Ma non è affatto semplice, perché l’Italia si presenta con il suo grande debito pubblico e non riesce da sola a condizionare le decisioni. Secondo molti la linea dell’Europa non è saggia, ma anche in questo caso vince la maggioranza, è democrazia: sono i risultati delle elezioni europee, che eleggono il Parlamento, la cui maggioranza pesa poi nella nomina della Commissione europea. La reazione immediata-bis, «usciamo dall’Europa», presenta grandi rischi.
Sarebbe bello avere una risposta che stia in una sola frase, ma non l’abbiamo ancora trovata.
Come è potuto succedere, insomma, che proprio i più deboli non abbiano voluto votare per cambiare? Per fortuna a questo abbiamo una risposta: è colpa della politica. È colpa di Renzi, che non ha mantenuto la promessa fatta per venire incontro alle partite Iva e ai lavoratori giovani, liberalizzando alcuni settori, temendo di essere impopolare per esempio con i tassisti. Era una scommessa a metà. Un calcolo politico comprensibile, frutto di un compromesso perché la coperta è corta, che puntava a premiare alcune fasce del Paese, dai redditi bassi con gli 80 euro ai proprietari di casa con la cancellazione dell’Imu.
Perché gli italiani che detestano la politica non hanno voluto diminuire il numero dei senatori e tagliare alcuni costi? È colpa di Renzi, che ha messo al centro se stesso e non la riforma, anche se forse non aveva grandi alternative.
Ma che facciamo ora? La sensazione di avere un premier tutto sommato normale è stata rimpiazzata dal timore di non avere più alternative. La frase «Renzi era l’ultima occasione» viene pronunciata spesso ed è probabilmente sbagliata. Ma è vero che Renzi ha fatto cose inedite in Italia, dalla riforma del lavoro, criticata ma considerata essenziale, alla legge sulle unioni civili.
La questione dell’«ultima occasione» chiama in causa le alternative a Renzi, che fino a oggi sono state in grado di divenire molto popolari ma allo stesso tempo poco chiare. Dalla confusione personalistica del centrodestra ancora dipendente da Silvio Berlusconi e scosso dalla rincorsa della Lega, al Movimento 5 Stelle che a volte sembra impreparato, a volte ripete logiche poco trasparenti nelle sue decisioni politiche più importanti.
Forse Renzi, considerato da molti un abile politico, ha sottovalutato proprio la strategia politica. Forse è così che funziona quando una proposta nuova, come quella di Renzi nel Pd, deve confrontarsi con la fatica del governo. Ora molti guardano ancora a Renzi, convinti che saprà trovare una nuova via. Senza il peso del governo potrà occuparsi del partito e in primis ricomporre le fratture, anche se è faticoso ammettere di aver sbagliato.
Dopo il voto Pierluigi Bersani commentava in televisione il risultato del referendum e spiegava con la metafora della mucca nel corridoio l’esigenza di ascoltare il Paese che sta male, soprattutto perché non ha lavoro. È il Bersani delle liberalizzazioni ma anche quello della militanza orgogliosa. Pochi minuti prima di lui in tv c’era Graziano Delrio, che sembrava voler offrire una sintesi tra due mondi che non si parlano: difendeva Renzi per lo sguardo ottimista sul Paese così criticato dalla minoranza, senza però rinnegare la capacità di capire chi soffre.
Ora, se in gioco c’è il Paese sarebbe davvero incomprensibile che un leader che si è proposto come il nuovo e ha fatto già un pezzo importante di strada come Renzi non trovi il modo di chiudere questo solco, invitare a cena Bersani, parlare chiaro, mettere da parte le incomprensioni e i personalismi, i ricorsi storici della sinistra. Se così farà, che vinca o no il probabile congresso, Bersani o chi per lui non potrà tirarsi indietro. Soprattutto, se il Pd trovasse la forza di uscire da questa crisi obbligherebbe anche gli altri partiti a un cambio di passo: il centrodestra farebbe le primarie, il M5S presenterebbe un programma di governo. Così, infine, potremmo scegliere.
beniamino.pagliaro@lastampa.it
Nell’ultimo BUR è stato pubblicato questo interessante bando che vi segnalo:
Bando impiantistica sportiva. L.R. 93/95 e L.R. 18/00
Tipologie di intervento:
- a) interventi diretti ad abbattere le barriere architettoniche degli impianti esistenti
- b) interventi di adeguamento degli impianti esistenti alle norme di sicurezza e igienico-sanitarie,
- c) interventi di manutenzione straordinaria degli impianti sportivi di proprietà di enti pubblici e dati in concessione a soggetti privati o di proprietà degli stessi;
- e) opere di completamento di impianti finalizzate alla loro messa in funzione o alla miglior fruibilità, comprese le attrezzature sportive che hanno una vita economica di almeno 5 anni
Possono accedere ai contributi regionali nelle tipologie a), b) e c) sopra descritte:
- enti e organismi pubblici: i comuni fino a 10.000 abitanti o loro consorzi e aziende o società a prevalente capitale pubblico che ricadono in tali comuni.
- organizzazioni sportive e altri enti con o senza personalità giuridica:
- le federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI;
- le discipline sportive associate riconosciute dal CONI;
- gli enti di promozione sportiva con o senza personalità giuridica e riconosciuti dal CONI
- le associazioni e società sportive con o senza personalità giuridica, senza fine di lucro affiliate da almeno un anno ad una FS o ad una DSA o ad un EPS riconosciuti dal CONI;
- gli enti morali (parrocchie, istituti religiosi) che perseguono, in conformità delle normative che li concernono e sia pure indirettamente, finalità ricreative e sportive senza fine di lucro.
Possono accedere ai contributi regionali nella tipologia e) sopra descritte:
- enti e organismi pubblici:
- le province e la Città metropolitana di Torino;
- le unioni di comuni;
- i comuni e loro consorzi o aziende o società a prevalente capitale pubblico.
- organizzazioni sportive e altri enti con o senza personalità giuridica:
- le federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI;
- le discipline sportive associate riconosciute dal CONI;
- gli enti di promozione sportiva con o senza personalità giuridica e riconosciuti dal CONI;
- le associazioni e società sportive con o senza personalità giuridica, senza fine di lucro affiliate da almeno un anno ad una FS o ad una DSA o ad un EPS riconosciuti dal CONI;
- gli enti morali (parrocchie, istituti religiosi) che perseguono, in conf
- ormità delle normative che li concernono e sia pure indirettamente, finalità ricreative e sportive senza fine di lucro.
Le domande dovranno essere presentate entro il 16 gennaio 2017, esclusivamente via PEC all’indirizzo:
culturaturismosport@cert.regione.piemonte.it
http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2016/47/suppo1/00000020.htm