Da qualche mese assistiamo ad uno spettacolo straordinario: un giorno comincia la ripresa e il giorno dopo ė già finita. Ed il terzo giorno ci riteniamo soddisfatti perché navighiamo attorno alla crescita zero. Il che, per un paese che in sei anni di crisi ha già perso oltre l’otto per cento del suo PIL , non mi sembra una bella notizia. Quando poi andiamo a esaminare questo fenomeno nei dettagli, troviamo che l’essere arrivati almeno intorno allo zero è dovuto essenzialmente all’aumento delle esportazioni. La domanda interna continua ad essere negativa.
Cala perfino il consumo della pasta, con il connesso consumo della conserva di pomodoro. Tutto questo trova la controprova nei dati ufficiali sull’aumento della povertà assoluta e nell’esperienza quotidiana delle strutture caritative dedicate a fornire cibo e altri beni essenziali ai più poveri. Il numero delle persone assistite aumenta ogni giorno. A differenza del passato vi sono più italiani che stranieri, mentre aumenta costantemente il numero delle famiglie che da un reddito medio-basso precipitano nella miseria.
Queste conseguenze della disuguaglianza non sono purtroppo una sorpresa. Non voglio tuttavia tornare ad approfondire le ragioni che hanno causato il suo aumento e, di conseguenza, l’aumento della povertà assoluta. Mi limito oggi a constatare che la riduzione dei consumi della povera gente è anche uno dei maggiori ostacoli alla ripresa economica.
Un’ osservazione ovvia e quasi banale ma che contrasta con quanto la dottrina economica prevalente ha continuato a ripetere, che cioè l’aumento della disuguaglianza puo’ essere riprovevole dal punto di vista etico ma, aiutando la crescita del sistema, finisce con l’essere vantaggioso per tutti.
Le più recenti ricerche degli economisti rovesciano questo stereotipo e riportano scientificamente in auge il buon senso, che ci dice che l’economia può crescere solo se arrivano i soldi nelle tasche di chi vorrebbe consumare ma non ne ha i mezzi. A questa revisione nel campo della scienza economica stanno seguendo, anche se in modo lento e non sistematico, decisioni politiche dedicate ad attenuare le disuguaglianze.
L’unico aspetto innovativo della nuova coalizione di governo tedesca consiste infatti nell’aumento del salario minimo, mentre negli Stati Uniti il nuovo sindaco di New York ha vinto a mani basse le elezioni con una piattaforma non solo in favore del salario minimo ma tutta proiettata verso quella che è stata definita la politica di Robin Hood, avendo promesso un aumento delle tasse per coloro che hanno un reddito di oltre 500.000 dollari all’anno ( che a New York sono molti e influenti ) in modo da sollevare le condizioni di vita e migliorare le strutture scolastiche dei quartieri più poveri.
Il dibattito americano, che ha trovato alimento nel cinquantesimo anniversario del programma di lotta alla povertà del presidente Johnson, offre aspetti del tutto inediti. Esso non è limitato all’interno del Partito Democratico ma coinvolge tutto il panorama politico, compresa la sua parte più conservatrice.
Ancora più interessante è notare che al centro di questo dibattito sono soprattutto le parole di Papa Francesco che, come nota con una certa sorpresa il New York Times, non solo ha catturato il mondo con un messaggio di giustizia e tolleranza ma, “pur partendo dal Vaticano che è 4.500 miglia lontano”, è ora al centro di tutto il dibattito politico di Washington.
La sorpresa è ancora maggiore quando leggiamo che il riferimento specifico al richiamo del Papa viene condiviso e ripetuto non solo dai politici cattolici ma, con uguale intensità, da ebrei e protestanti.
E’ evidente che non tutti saranno disposti a tradurre le parole di Papa Francesco in coerenti provvedimenti legislativi ma produce una certa sorpresa sentire Newt Gingrich, ex presidente della Camera e uno dei più autorevoli rappresentanti dell’ala conservatrice dichiarare che ” ogni Repubblicano dovrebbe condividere la critica fondamentale del Papa quando ammonisce che “non si può vivere in un pianeta composto di miliardari e di gente che muore di fame”. Ed aggiunge che ” il Papa ha cominciato a toccare quest’argomento proprio nel momento in cui il Partito Repubblicano ne aveva bisogno”.
Non mi illudo certo che i mutamenti di pensiero nel campo scientifico e politico e il fiorire di tutti questi buoni sentimenti si traducano in un cammino verso la giustizia universale, anche perché vedo che che le disparità proseguono come prima e non noto cambiamenti significativi dei comportamenti dominanti del mondo economico e finanziario.
Non mi sento tuttavia di sottovalutare l’ipotesi che, di fronte a una nuova spinta di carattere economico, etico e religioso, si facciano sforzi maggiormente condivisi per cominciare a operare i cambiamenti idonei ad attivare una crescita fondata su una maggiore giustizia.
Per tornare al caso italiano ritengo assolutamente necessario dirottare subito almeno una decina di miliardi di Euro per alleviare la povertà assoluta e sollevare i redditi più bassi. Gli strumenti possibili e compatibili con lo stato delle nostre finanze sono già stati discussi a lungo.
Anche tenendo conto dei nostri vincoli si deve almeno evitare che le spese sociali continuino a calare, si deve operare subito sul cuneo fiscale per i lavoratori a più basso reddito e si deve accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, mettendo in atto con maggiore velocità i provvedimenti già decisi in materia.
La nuova riflessione sul rapporto fra crescita e uguaglianza non può infatti fermarsi a Washington. Visto che è partita da Roma è bene che ritorni a Roma. In fondo deve solo attraversare il Tevere.
(Romano PRODI su Il Messaggero)